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Simone Weil

Un giorno di metà novembre dell’anno 1939 Simone Weil fu colpita da un evento straordinario, uno di quei momenti che segnano la vita di un essere umano mutandone radicalmente l’esistenza. Vediamo come la stessa Simone lo descrive: “ … durante una di queste recite … il Cristo stesso è sceso e mi ha presa. Nei miei ragionamenti sull’ insolubilità del problema di Dio, non avevo previsto questa possibilità, di un contatto reale, da persona a persona, quaggiù tra un essere umano e Dio. Avevo vagamente sentito parlare di cose simili, ma non vi avevo mai creduto … “ così continua, “ in un momento di intenso dolore fisico, mentre mi sforzavo di amare ma senza credermi in diritto di dare un nome a questo amore, ho sentito, senza esservi affatto preparata – poiché non avevo mai letto i mistici – una presenza più personale, più certa, più reale di quella di un essere umano, inaccessibile ai sensi e all’immaginazione, analogo all’amore tre traspare attraverso il più tenero sorriso di un essere amato. Da questo momento il nome di Dio e quello di Cristo si sono mischiati in modo sempre più irresistibile ai miei pensieri”
Questa esperienza segnò per Simone il passaggi definitivo da una vita volta verso l’esterno, verso l’impegno politico e sociale, a una realtà interiore fatta sia di sofferenze sia di momenti di indicibile gioia.

Chi era Simone Weil?

Non è possibile in questa sede tracciare un quadro esauriente della figura politica, culturale e religiosa di Simone Weil, basti dire che fu uno dei cervelli più lucidi, una delle intelligenze più straordinarie che l’Europa del’900 abbia mai visto.
Una donna straordinaria il cui impegno politico era pari all’acume del suo pensiero. Militante rivoluzionaria, fu in Spagna, durante la guerra civile, a fianco degli anarchici della colonna Durruti e profuse in Francia un impegno costante all’interno delle battaglie per i diseredati e gli struttati. Filosofa e saggista dalla lucida visione politica e sociale, seppe accoppiare alle doti del suo intelletto un impegno sempre realizzato in prima persona, lavorando nelle fabbriche, sottoponendosi alle stesse fatiche fisiche e mentali degli operai.
È interessante che un personaggio di tale levatura, dalla cultura sconfinata, sia arrivata ad un certo punto nella sua esistenza, alla più pura esperienza mistica.
Non fu certamente un evento casuale: già da anni Simone sentiva il richiamo della religiosità, già nelle sue speculazioni il problema di Dio si era affacciato con la sua insolubile problematica, ma la dove il suo pur elevato intelletto non poteva giungere potè la sua fine e delicata sensibilità, il suo amore e la sua dedizione. Il suo fisico debole seppe sopportare sofferenze a cui non era preparato e che Simone gli infliggeva volontariamente con il risultato di minarne la resistenza fino alla morte prematura avvenuta il 22 agosto 1943 ad Ashford nel Kent a 34 anni.

Il misticismo e il rifiuto del cibo.
Perché parlare adesso di Simone Weil?
Perché non solo la sua vita, ma anche la sua morte porta le connotazioni di un evento straordinario (nel senso di al di fuori dell’ordinario): Simone morì soprattutto perché rifiutò di alimentarsi a sufficienza, perché le era intollerabile rimanere a Londra mentre avrebbe voluto combattere a fianco della resistenza (ma la sua salute non poteva permetterglielo e le sue pressanti richieste di essere paracadutata in Francia furono rifiutate), perché intollerabile pensare alle indicibili sofferenze di milioni di ebrei nei campi di sterminio nazisti, perché riteneva che solo la sventura e la sofferenza le avrebbero permesso di ricongiungersi con Dio. Possiamo parlare bel caso di Simone Weil di anoressia mentale?
Alcuni tratti del suo carattere certamente possono interessare lo psicopatologo e lo psichiatra, ma a noi più che che individuare gli aspetti patologici interessa cercare di capire ciò che si è prodotto nella mente di Simone: come si può scegliere deliberatamente la morte e la sofferenza, come possono essere queste vie che portano alla liberazione, alla verità, all’essere?
In questa nostra ricerca concorrono più elementi che devono tutti essere presi in considerazione: fra gli altri gli interessi specificamente religiosi e umanistici sbocciati nella mente di Simone Weil con la stessa corrosiva bellezza di una rosa di sangue, dati dal contatto autentico e annientante con ciò che è al di la di tutto ciò che la mente umana può concepire.
Ogni indagine non può prescindere dall’elemento fondamentale del misticismo di Simone Weil, i suoi tratti sono caratteristici, ritrovabili anche in altre mistiche come Teresa d’Avila, Madame Guyon, Angela di Foligno, ecc.

L’erotismo si sublima
La terminologia usata da Simone per descrivere la sua esperienza ripercorre la matrice di un sentiero già percorso e ben noto da anime ricolme di amore e di energia. Simone dice: “Cristo stesso è sceso e mi ha presa …”cioè è stata posseduta dalla Potenza, si è congiunta a questa con la stessa energia di un mistico amplesso. Sono i criteri tipici del misticismo cristiano in cui l’erotismo si sublima e si trasforma e conduce fatalmente verso l’annullamento. Qualcosa muore in Simone in quel momento, muore il suo io e il suo corpo corruttibile, la prospettiva della morte è inizio della vita: dice Simone: “bisogna passare per la morte – che il vecchio muoia. Ma la morte non è suicidio”
Il vecchio io non è sostituito in questa terra dal Sé, centro cosmico (Atman) delle religioni orientali o dal puro centro di consapevolezza del buddhismo: il contatto subito da Simone è stato troppo per lei, il suo tentativo di ricostruirne l’immane bellezza passa attraverso la sofferenza, il dolore, la fame.
La fame, la morte, la sofferenza, sono metodi per ritrovare disperatamente ciò che non si realizza giornalmente.
Sappiamo dalla psichiatria che l’anoressia mentale può portare a morte, morte per fame, ma questa morte non è mai suicidio, come afferma la Selvini Palazzoli le pazienti anoressiche tentano fino all’ultimo di salvarsi, riducono l’alimentazione a limiti inverosimili senza tuttavia giungere mai alla sospensione totale del cibo.
Nel caso di Simone Weil si è parlato di “endura” che in occitano significa “privazione, digiuno” che è ben diverso dal suicidio.
Come abbiamo scritto in altre occasioni il significato dell’esperienza mistica deve essere ricercato nel particolare stato di coscienza che ad essa si accompagna , uno stato di coscienza non ordinario, durante il quale si ha un corrispondente alterarsi del sistema percettivo e uno stravolgimento di tutta la struttura caratteriale del mistico. In questo particolare processo un ruolo fondamentale è giuocato dall’ego e dai sistemi di stabilizzazione che intervengono fin dall’infanzia a rendere accettabili sul piano cognitivo tutti i messaggi provenienti dall’esterno e, quindi, a costruire l’adattamento dell’individuo alla realtà circostante . Durante l’esperienza mistica l’ego e le sue componenti subiscono un totale cambiamento: non è più necessario separare, suddividere, astrarre, né seguire il ragionamento logico. L’ego deve morire, con tutto ciò che ne consegue. Questa sublime esperienza può avere risultati catastrofici, specie in soggetti non preparati, e portare a vere e proprie patologie mentali: è quello che R. Bastide chiama stato teopatico o che L. Boggio Gilot chiama patologia del transpersonale e i cui sintomi possono essere molto simili alle sindromi dissociative e schizofreniche.

I sintomi dell’anoressia
Nel caso di S. Weil, come prima accennato, la necessaria morte dell’ego non si accompagnò alla rinascita spirituale simboleggiata dall’individuazione di un nuovo centro superiore di autoconsapevolezza, ma il processo fu portato fino alle estreme conseguenze.
In Simone Weil non troviamo tutti i sintomi tipici dell’anoressia mentale, in particolare manca una vera e propria struttura psicotica del carattere (almeno per quanto ci è dato sapere). È pur tuttavia vero che alcuni tratti lascino pensare: Simone si ferisce più volte (in Spagna durante la guerra civile si produce una grave ferita alla gamba con olio bollente), si sottopone volontariamente, anche prima della sua decisiva esperienza mistica, a molteplici sofferenze e umiliazioni. Sono tratti che indicano atteggiamenti masochistici e autolesionistici o Simone preparava inconsciamente il suo cammino mistico?Nè l’intelligenza superiore e la straordinaria sensibilità possono giustificare alcunché come sappiamo dal caso Ellen West riportato da Biswanger
È necessario dire che Simone conobbe altre vie mistiche, in particolare l’induismo e il taoismo (tradusse alcune Upanishad e parte della Bagavad Gita dal sanscrito), ma la sua vita rimase legata al cristianesimo antidogmatico, per quanto vicino al cattolicesimo, tanto che non arrivò mai al battesimo.
Forse è proprio la simbologia cristiana che ci può aiutare a comprendere la morte di Simone Weil e ad inquadrarla in un complesso che travalica le sue problematiche psicologiche per investire considerazioni che coinvolgono l’inconscio collettivo dell’umanità.
Così scrive Simone: “Crocifissione: Dio ha espiato la creazione. E anche noi che ad essa siamo associati la espiamo.”
Poiché Cristo è morto in croce anche io che sono come lui devo morire e soffrire. Questo è il tipico ragionamento che potremmo ritrovare nelle tante stigmatizzate descritte da Margnelli
In questi casi il comportamento è veicolato dall’identificazione con la simbologia della croce. I mistici indù o mussulmani non si fanno spuntare le stimmate. Esiste un vero misticismo universale oppure possiamo parlare di ideazione delirante o di isterismo in queste manifestazioni?
La religiosità e il misticismo non dovrebbero essere parti di un tentativo fatto dall’uomo per ritrovare con gioia il suo equilibrio nell’universo che lo circonda?
Ancora una volta riaffiora la stessa domanda: perché la sofferenza?
Possiamo ritrovare legami ai rituali sciamanici, allo smembramento rituale che restituisce l’uomo alla sua originaria purezza, oppure ai riti orfici, alle trances rituali durante le quali si producono danze estenuanti fino a sfibrare il corpo. In Simone Weil, così come il altre mistiche, c’è, però, qualcos’altro, non è solo il tentativo di uccidere l’ego, è anche il modo per espiare un’antica colpa che ricade su tutti i cristiani e sull’occidente. “Dio ha espiato la creazione …” scrive Simone. Il delitto più efferato è quindi la creazione commessa da un dio decaduto, come è decaduto l’uomo, un Dio crudele che è si costruttore dell’umanità, ma nello stesso tempo espressione del male, disceso per emanazione dal vero Dio, il quale per salvare l’umanità ha inviato sulla terra suo figlio Gesù Cristo ad espiare così la colpa originaria del Dio decaduto e dell’umanità.
Queste cognizioni si rifanno allo gnosticismo e all’eresia catara entrambi ben noti alla Weil e rappresentano il supporto teorico di una sofferenza altrimenti espressa sul piano esistenziale e in cui ritroviamo altre connotazioni che a questa si aggiungono, conformando un quadro più chiaro che forse può spiegarci la morte per fame di Simone Weil?

Perché il digiuno?
La morte per fame è un modo per essere come Dio, è la morte rituale che restituisce il corpo all’universo. Morendo per fame simbolicamente Simone mangia il suo corpo e si riappropria della sua originaria divinità, prima della caduta, ricrea la sua vita, ricrea l’universo realizzando l’eguaglianza fra microcosmo e macrocosmo: è quindi divenuta come Dio. “Traversata la morte mediante l’ignoranza, mediante il sapere egli mangia l’immortalità,”
“Traversata la morte mediante il non-divenire, mediante il divenire egli mangia l’immortalità”.
Sono brani della Isa Upanishad tradotti da Simone Weil e annotati nei suoi quaderni. Mangiando il proprio corpo mangia il tempo e il divenire, diventa, quindi, immortale.
“È possibile mettere un essere umano di fronte alla morte senza fargli paura?” … “Farne una cerimonia?” Scrive la Weil nei suoi quaderni . Ci troviamo di fronte ad una forma di pensiero magico pre-logico.
“L’uomo, un pensiero legato a un corpo, può esistere solo a patto che questo corpo sia un’immagine dell’universo e che le porzioni limitaste di materia a cui ha accesso siano alcune immagini dell’Universo”.
Più avanti leggiamo questo appunto: “Creazione del mondo mediante la morte-fame” . Questo brano che riportiamo sotto svela interamente il segreto di Simone Weil, l’origine della sua ideazione delirante, della sua morte: “Si è forse in grado di pensare nello stesso modo quando si ha fame, si è sfiniti, si è umiliati e senza considerazione? Dunque bisogna rinunciare anche a questi beni dello spirito. Che cosa resta quando si è rinunciato a tutto ciò che dipende dall’esterno? Forse niente? Allora si è veramente rinunciato a se stessi” …” Umiltà in vista dell’assimilazione a Dio. Quale orgoglio resta al di sotto! (io non posso sopportare di essere meno di Dio) ma allora bis0gna che io sia niente; perché tutto quel che io sono è infinitamente meno di Dio. Se io tolgo da me tutto quel che io sono, resta …” (il brano termina così nell’originale)
In questo modo Simone Weil contemporaneamente espia la sua colpa e realizza la sua fusione con l’infinito.
Carmelo Percipalle
Articolo pubblicato sul n. 56, ottobre 1985 della rivista Riza Psicosomatica.