Pensiamo, erroneamente, che attivare e gestire il processo di trasformazione sia compito dell’ego. Non credo che sia proprio così in quanto penso che il compito dell’ego sia di imparare a gestire il quotidiano, cioè, quello che avviene nell’arco delle nostre 24 ore. Molti dei nostri problemi nascono da questa incapacità autogestionale. La programmazione del cambiamento, invece, potrebbe essere compito del Sé superiore o transpersonale, in quanto solo a quel livello si può progettare realmente il futuro, perché il Sé, quando è attivato, esprime la sua unione con l’Universo e si adegua ai Suoi Principi e ai Suoi Piani. L’ego è incapace di connettersi ai principi universali in quanto è, per definizione, separativo e illusorio. Il cambiamento, la trasformazione sono elementi della vita, costantemente impressi nei codici universali, ma l’ego è incapace di conformarsi ad essi in quanto ha la pretesa di creare propri codici e propri universi tutti illusori o idealistici.
Il nostro compito, come operatori di aiuto psicologico, è aiutare le persone a gestirsi, dando loro le regole e le conoscenze necessarie per farlo. Questo obiettivo è già, di per sé, non facile, ma pensare di indurre il cambiamento in chi non sa gestire il quotidiano è ancora una illusione tipica di alcuni cosiddetti psicoterapeuti che vivono la loro professione nel costante miraggio di un cambiamento o di una trasformazione che non può avvenire, né nel paziente né, tanto meno, nell’animo dello stesso psicoterapeuta semplicemente perché non esiste alcuna connessione fra la personalità e il Sé.
È molto più realistico pensare, quindi, che gli operatori d’aiuto psicologico siano in grado di agire come educatori o meglio come counsellors del quotidiano, insegnando ai soggetti che ne hanno bisogno a gestire la vita di ogni giorno, fino al punto in cui “L’angelo della Presenza” inizia a manifestarsi (non solo nell’utente ma anche nell’operatore) perché trova contenitori (cioè personalità) maggiormente integrati.
Questo compito può essere assolto anche da personale non laureato, dai counsellors che abbiano attraversato una formazione adeguata, in questo caso, su base psicosintetica e attuato un corretto lavoro individuale eterodiretto.
Lasciamo il compito di favorire il reale processo di guarigione e di trasformazione allo psicoterapeuta che deve essere in grado di, parafrasando Assagioli, distruggere e ricostruire la stazione ferroviaria senza che i treni si fermino. Questo lavoro, delicato e pericoloso, deve obbligatoriamente essere attuato da personale laureato, da chi può realmente fregiarsi del titolo di psicoterapeuta attuando il percorso già ampiamente conosciuto e condiviso dalle varie scuole di psicoterapia.
Possono giovarsi della psicoterapia, intesa come attivazione psicodinamica del processo di cambiamento e di trasformazione, solo, paradossalmente, individui già guariti che, cioè, possiedono un ego che ha imparato a gestire il quotidiano, che vivono una condizione psichica, familiare e sociale di sufficiente stabilità. In questo caso potrebbero essere pronti a ricevere i messaggi del Sé e a consentirgli di prendere in mano le redini della propria vita adeguandosi ai principi e ai voleri universali. In questo caso i disturbi che potrebbero manifestarsi nascono, probabilmente, proprio dal conflitto fra la personalità e il Sé e lo psicoterapeuta in grado di affrontare le psicopatologie derivate deve possedere una adeguata formazione che faccia riferimento alla psicoterapia psicosintetica o di eguale livello.
La gestione del quotidiano significa, allora, attivare le energie dei primi tre chakra inferiori in maniera ordinata e funzionale e, cioè, semplificando molto, vivere una condizione di relativo benessere psico – fisico significa vivere in uno SPAZIO in grado di garantire un minimo standard di agio, avere a disposizione una minima quantità di denaro, convivere con persone con le quali si possano instaurare relazioni chiare e definite, percepire il TEMPO come l’occasione che ci consente di sperimentarci, di evolverci e di acquisire nuove conoscenze e, soprattutto, imparare a vedere noi stessi come il CENTRO della nostra coscienza, attivando il processo di autoosservazione e, poi, di disidentificazione – autoidentificazione.
Il lavoro nei gruppi riesce a gestire meglio il processo di cambiamento in quanto il gruppo si costituisce come una coscienza unificata, un sé di gruppo, che può favorire la trsformazione perché diventa un punto di riferimento diverso in grado di integrare il lavoro dell’ego (o sé personale) e di preparalo al contatto con il sé transpersonale. Il fatto stesso di confrontarsi con gli altri e di imparare a relazionarsi scoprendo ciò che c’è oltre l’ego significa iniziare a scoprire il senso del transpersonale, di ciò che si trova oltre il personale, oltre l’ego. Questo è quello che viene proposto nell’esperienza di “Un Corso in Miracoli” (http://www.acim.org/) in cui le relazioni umane diventano veicolo sacro di guarigione e di salvezza.
Tornando a parlare di contesti terapeutici, a nessuno sfugge il senso del lavoro di guarigione che si fa in svariate tipologie di gruppo che vanno dalle comunità terapeutiche (di varia estrazione e tipologia) ai gruppi di auto aiuto, di counselling o più spiccatamente riferiti alla psicoterapia di gruppo.
Il gruppo, in altre parole, è in grado di determinare il cambiamento e, a volte, la trasformazione dell’individuo. Se, infatti, la malattia è anche chiusura, irrigidimento, incapsulamento, dentro il proprio mondo in un contesto nevrotico o pre – psicotico, il gruppo può dare una visione diversa, aprire orizzonti che favoriscono il processo di guarigione.
Il gruppo può anche gestire, assieme all’individuo il quotidiano. Può essere, infatti, possibile determinare un cambiamento, all’interno di un qualsiasi processo terapeutico, ma è difficile gestire questo cambiamento nel quotidiano o nel confronto, continuo e frustrante, con una realtà, sociale e familiare che non cambia. Il gruppo può, invece, aiutare a gestire il cambiamento nel quotidiano sostenendo le scelte dell’individuo, specie dal punto di vista affettivo ed aiutarlo ad uscire da una condizione di isolamento, di mortale solitudine.