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ISTITUTO DI CULTURA

E DI TERAPIA PSICHICA

Via Eufemiano, 9 – Roma

15 Maggio 1932

 

 

 

PERSONALITÀ E INDIVIDUALITÀ

ELEMENTI SUPERIORI SPIRITUALI NELLA PERSONALITÀ

IL SENSO DEL BELLO

(Archivio Assagioli – Firenze)

 

 

 

Stiamo trattando degli elementi superiori, spirituali che si manifestano nella nostra personalità, dei “raggi” che scendono dell’Io spirituale a illuminare, riscaldare e illuminare la vita; la nostra vita umana. Abbiamo parlato del senso morale e della conoscenza. Oggi parleremo di un altro “raggio” spirituale: quello della bellezza.

 

Per ben comprendere la natura e la funzione della bellezza occorre ricordare la concezione spirituale di cui abbiamo parlato, secondo la quale tutto ciò che esiste esternamente, concretamente e singolarmente, è manifestazione, effetto e riflesso in una Realtà superiore, trascendente e spirituale.

 

Quindi ogni qualità o attributo del mondo esterno, della materia e delle innumerevoli creature, è solo un riflesso più o meno pallido e velato di una qualità o attributo della Realtà spirituale, del Divino.

 

Ciò è evidente in modo particolare per la qualità del bello. Che la bellezza sia una nota essenziale del Supremo, del Divino, è stato riconosciuto e proclamato dai più alti pensatori, dai più grandi mistici di ogni tempo. In modo particolare lo hanno riaffermato in Occidente Platone e Plotino; e nel campo cristiano, l’ignoto mistico del I e VI secolo, le cui opere erano state attribuite a Dionigi L’Areopagita.

 

Questi ha detto: “L’Infinito è chiamato bellezza”, e ha definito Dio “Colui Che è essenzialmente bello”. Perciò in tutto ciò che ha creato deve trovarsi qualche traccia di questo attributo essenziale del Principio Creatore. Infatti, dice lo Pseudo Areopagita:

 

“Nulla di ciò che esiste è completamente spoglio di una qualche bellezza. La materia stessa, derivando la propria esistenza dall’essenzialmente bello, conserva nell’ordinamento delle parti qualche vestigio della bellezza intelligibile”.

(Dionigi l’Areopagita, Gerarchia Celeste, 11, 3)

 

Ma se studiamo gli effetti della percezione della bellezza, quali si manifestano nell’umanità in generale, ci troviamo dinanzi ad uno strano paradosso, ad un’apparente contraddizione. Da un lato si può infatti dire che fra gli attributi divini, quello della bellezza sia il più facilmente riconoscibile, perché è quello che si è più chiaramente manifestato, che si è maggiormente oggettivato, che si è impresso nelle forme più concrete e materiali.

 

Da un altro lato però, esso è anche quello che si dimostra più pericoloso dal lato spirituale, quello cioè che più di ogni altro lega l’uomo alla materia, alla forma, che più di ogni altro suscita in lui desideri di piacere sensuale (in senso ampio) e sete di possesso egoistico e separativo, che più di ogni altro lo acceca e lo illude, lo immerge e lo avvolge negli iridescenti veli di Maya, della grande illusione, e che quindi più lo allontana e lo tiene separato da Dio, dalla Realtà profonda, dalla Verità. Come si spiega questo paradosso? Non è difficile.

 

1° – Appunto perché la bellezza è la qualità divina che più si è concretata, resa sensibile, manifestata nella materia, è anche quella di cui l’uomo più facilmente dimentica e non scorge l’alta origine, non riconnette più con la sua sorgente, ma è portato a ritenerla una qualità propria della materia stessa, e delle sue forme concrete.

 

2° – É proprio l’intensità e la potenza del fascino che esercita la bellezza ciò che suscita nell’uomo non ancora purificato e padrone di sé desideri prepotenti, passioni incomposte, e sete di possesso esclusivo. Come si risolve l’antinomia? Come far sì che il nettare della bellezza non divenga veleno mortale per l’anima, ma resti e ritorni ad essere quello che dovrebbe, ed è in essenza? E cioè “acqua di vita”, elisir di immortalità?

 

Vi sono due vie: la prima è quella della negazione, del rinnegamento di Maya, del distacco rigido, della soppressione di ogni attività dei sensi. È la via che si suole chiamare – alquanto impropriamente – ascetica. È la via di certi metodi orientali più rigidi, specialmente buddhisti, ed è la via di certi asceti e mistici cristiani, degli anacoreti della Tebaide, e di un santo (credo S. Bernardo), che viaggiando per la Svizzera si chiudeva gli occhi perché la bellezza dei laghi e dei monti non lo distraesse dalla sua concentrazione in Dio; fino al Curato d’Ars, che si faceva uno scrupolo di odorare una rosa.

 

È una via che suscita facilmente la nostra critica e la nostra ribellione; che appare separativa, inumana, quasi blasfema.

 

Considerandola imparzialmente, si può però riconoscere che può anche avere i suoi pregi: può costituire ad esempio una rapida scorciatoia, un mezzo violento ma potente, può costituire una fase necessaria o almeno opportuna di distacco per chi propende troppo verso gli allettamenti sensibili.

 

Ma, concesso questo, si può dire in ogni caso che non sia priva di gravi inconvenienti e comunque sia per i pochi. L’altra via è più facile, armonica, graduale e inclusiva e non porta meno in alto della prima. È una via che porta al superamento degli attaccamenti esclusivi e sensuali alle cose belle, in un duplice modo: mediante un allargamento e un’inclusione in senso orizzontale di tutte le forme, e poi un’elevazione in senso verticale, che fa risalire dagli effetti alla Causa, dall’espressione dell’essenza alla manifestazione dell’immanifesto. Essa è stata formulata con chiarezza e concisione mirabili da Platone nel Convito:

 

… bisogna passare dall’amore di una bella forma all’amore di tutte le belle forme o della bellezza fisica in generale, poi dall’amore dei bei corpi all’amore delle belle anime, delle belle azioni, dei bei pensieri. In questa ascensione attraverso la bellezza morale ad un tratto apparirà una bellezza meravigliosa, eterna, esente da ogni generazione e corruzione, assolutamente bella. Essa non consiste né in un bel viso, né in alcun corpo, né in un pensiero, né in una scienza; essa non risiede infine in alcun essere differente da lei stessa, né in cielo né in terra, ma esiste eternamente in sé per sé nella sua assoluta e perfetta unità.

(Platone, Convito, riassunto di R. Rolland – Evangile Universal  II p. 222)

 

Questa stessa via è stata usata e descritta da vari mistici cristiani, anzitutto da S. Francesco, che diede ordine che fossero coltivati dei fiori nel giardino del convento “affinché tutti coloro che li vedevano, ricordassero la Dolcezza Eterna”.

 

Vi è poi Santa Douceline, per la quale il canto di un uccellino o la vista di un fiore avevano l’effetto di elevare la sua anima a Dio (Underhill, Mysticism, p. 260). Così pure S. Francesco di Sales era maestro dell’arte di fare di ogni spettacolo e fenomeno naturale bello, un mezzo di riferimento a Dio, un’analogia e un simbolo di verità spirituale.

 

Ecco il segreto – riconoscere che le cose esterne non hanno valore, significato, e neppure vera realtà per sé stesse, ma che hanno solo un valore indicativo e rappresentativo di verità e di realtà intrinseche, di qualità spirituali – segreto che è stato lapidariamente espresso dal Goethe alla fine del Faust:

 

“Tutto ciò che è transitorio è solo un simbolo”.

 

Esaminiamo questi vari gradini della scala platonica e la loro realizzazione:

 

1° – Passaggio dall’amore di una bella forma all’amore di tutte le belle forme. Così sparisce a poco a poco l’attaccamento esclusivo, la brama di possesso materiale e geloso.

 

Scoprire la bellezza del mondo:

 

a) NELLA NATURA: Infinita varietà e bellezza degli spettacoli naturali. Apprendere a vederli. Atteggiamento “disinteressato”. Oblio della personalità, dell’io separato con le sue piccole preoccupazioni egoistiche; immergersi nell’oggetto osservato e ammirato, fondersi con esso. È il modo più facile per aprire una fessura, uno spiraglio nel duro e stretto guscio dell’Io separato (la “cabina d’acciaio”).

 

Comunione fra soggetto e oggetto.
Riconoscimento di elementi fra tutti.

 

Marco Aurelio.

La possession du monde, p. 117 – George Duhamel.

Tutti gli oggetti naturali, ma alcuni di più: il cielo. Puskin.

 

Illuminazione di mistici. Divina immanenza.

 

b) nell’arte: Funzione e missione dell’arte: rivelare la bellezza nascosta, l’impronta divina in tutte le cose.

 

“L’Arte ha lo stesso scopo della religione: far sentire Dio agli uomini”. (Beethoven);

 

Questa è la pietra di paragone, la differenza fra la piccola arte del bello esteriore e superficiale, e la grande, la vera Arte.

 

Limitazione e pericoli della sola via dell’allargamento a tutta le cose belle: estetismo raffinato, limitazione nella forma. Bisogna passare all’altro gradino:

 

2° – La bellezza interiore.

 

La bellezza morale dell’animo, dei pensieri alti e armoniosi, dei sentimenti nobili e generosi, degli atti eroici. Ma siamo ancora nel campo individuale del differenziato. Passar oltre, alla bellezza essenziale, supernormale. Per questo passo aiuta il senso del sublime.

(vedi Ranzoli, Dizionario Scienze filosofiche, p. 1135).

 

A ciò corrisponde l’aspetto maestoso, grandioso, e quasi terribile del Divino, detto il Numinoso, così ben messo in rilievo dall’anima profondamente religiosa di R. Otto, nel suo libro Il Sacro.

 

Immanenza e trascendenza. Unilaterali se separate. Fonderle.

 

Prevalere dell’Immanenza, del lato forma espresso: pericolo di rimpicciolire e abbassare.

 

Nel campo estetico: il grazioso, il piacevole, l’elegante, la perfezione fredda, solo formule.
Nel campo religioso: misticismo sentimentale, amore personale di Dio uomo.
Nel campo del pensiero: idealismo, deificazione dell’uomo come uomo.

 

Trascendenza sola: dualismo, troppo distacco fra uomo e Dio. Dio lontano e inaccessibile.

 

Ora nel mondo moderno prevale decisamente la tendenza immanentistica, il sublime estensivo. Occorre quindi accentuare l’altro aspetto:

 

Senso del trascendente, senso del mistero.

Maeterlink – Il tesoro degli umili.

Il silenzio.
Sentire il brivido dell’Infinito. Ciò ci scuote, ci stacca dalla piccola vita frenetica estrovertita. Ci riporta alla Grande Realtà, ci fa intuire la bellezza che è sopra ogni forma, di cui ci ha parlato in modo insuperabile Platone, la “Bellezza eterna… che esiste eternamente in sé… nella sua assoluta e perfetta unità”.

Dott. Roberto Assagioli